dinanzi a la pietà d’i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch’io mi muova 5
e ch’io mi volga, e come che io guati.
Il canto inizia con Dante che si riprende dallo svenimento essendosi la mente, luogo dove risiede il sonno, risvegliata dopo aver parlato con i due amanti Paolo e Francesca. Mentre ancora è confuso dalla tristezza e dall'angoscia per quegli sventurati (Dante usa il termine pietà, ma con significato, appunto, di angoscia, secondo altre interpretazioni prova pietà perché anche lui ha rischiato di cadere nell'amore passionale prima di essere salvato da Beatrice), vede nuovi dannati e nuove pene tutto intorno a sé.
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mia non l’è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve 10
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Dante e Virgilio si trovano nel III cerchio. Si tratta di un luogo colpito da un’incessante pioggia di grandine sporca e gelida che, mischiandosi con il terreno, crea una disgustosa fanghiglia maleodorante.
L’aggettivo etterna fa riferimento alla tipica eternità infernale e alla pena del senso che subiscono queste anime; esse infatti sono colpite da un’incessante pioggia che non muta mai nè l’intensità nè la qualità. La tempesta è un contrappasso generico, dato che spesso i dannati ne sono vittime.
Si anticipa anche il loro contrappasso per opposizione; come in vita si abbandonarono alla gola, amando cibi raffinati, facendo un uso fine dei sensi, quali il gusto, la vista e l'olfatto, ora sono costretti a giacere in una fanghiglia brutta a vedersi e dall'odore sgradevole.
Cerbero incombe sulla gente qui sotterrata dal fango, dalla pioggia, dalla grandine.
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
I dannati emettono guaiti, latrati, lamenti a dimostrazione della loro condizione bestiale, si girano spesso da uno dei due lati cercando di farsi schermo, ma non hanno una minima diminuzione di pena, di dolore.
Quando Cerbero vede Dante avvicinarsi scortato da Virgilio, inizia ad abbaiare e a ringhiare, ma Virgilio non si lascia intimorire e, per farlo tacere (come era successo anche con i ministri infernali Caronte e Minosse nei canti precedenti) e permettere di continuare il viaggio, lancia nelle sue fauci una manciata di fango. Questo gesto è simbolico e riprende l’episodio dell’Eneide virgiliana in cui Enea, all’ingresso del regno degli inferi, deve sfamare il cane a tre teste Cerbero con delle focacce soporifere per poter continuare il suo viaggio. Si riprende così il famoso tema, ricorrente in tutta la cantica dell’Inferno e del Purgatorio, di Virgilio inteso come grande letterato e guida di Dante nel suo viaggio ultraterreno (qui chiamato con l’appellativo duca mio), grazie al quale Dante afferma sé stesso come degno continuatore della letteratura classica.
Dante, per drammatizzare la scena, inserisce in queste due terzine un paragone canino: compara la voracità con cui un cane si abbatte sul suo cibo con quella di Cerbero quando Virgilio gli lancia il fango.
Dante e Virgilio continuano il loro viaggio inoltrandosi nel terzo cerchio, quello destinato ai golosi (coloro che hanno peccato di gola). Essi camminano su un tappeto di anime, che Dante afferma, indirettamente, essere “aereo-passibili”: i dannati non possiedono più un corpo fisico, sono delle anime, degli spiriti, che tuttavia sono passibili al dolore. Infatti l’eterno castigo dei dannati consiste proprio per subire una pena del senso, cioè fisica, per l’eternità, diversa a seconda del peccato compiuto in vita.
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
ch’ella ci vide passarsi davante
Dante ci descrive la condizione delle anime dei golosi, costrette a stare ammassate per terra sotto una pioggia incessante di acqua, neve e grandine. D’un tratto però una di queste anime si solleva da terra: è Ciacco, goloso fiorentino che Dante presenterà nei versi successivi.
Dal momento che nell’Inferno comanda il Dio dell’Antico Testamento, giusto, severo, non c’è cosa che vi sia fatta fuori dalla sua volontà. Anche in questo caso perciò è proprio Dio a volere che l’anima di Ciacco si sollevi da terra per parlare con Dante sulla loro città natale: Firenze. Il canto VI dell’Inferno è infatti il canto dedicato esclusivamente alla politica. Anche i canti VI delle altre due cantiche trattano di argomenti politici: nel Purgatorio l’oggetto del dibattito è l’Italia mentre nel Paradiso è la aspra guerra tra guelfi e ghibellini che si protraeva ormai da diversi decenni sul suolo italico (rispetto all’anno in cui Dante scrisse l’Inferno, ovvero intorno al 1305-1307/8).
mi disse, "riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto".
Ciacco, una volta riconosciuto Dante, quasi in maniera faceta gli chiede di riconoscerlo, perché è nato prima che lui fosse morto (disfatto). Ma Dante non poteva riconoscerlo perché Ciacco era completamente deformato, squartato e lordo di melma. Inoltre Ciacco era personaggio molto gaudente in vita, raccontava storie, si faceva apprezzare, era un imbucato ai banchetti ma apprezzato e mantiene questa ironia anche nell’inferno, nonostante questa non sia una caratteristica tipica dell’inferno.
L’angoscia, da angere, cioè stringere, non è solo morale, ma anche fisica. Tutto il volto di Ciacco infatti è costretto all’interno del dolore e ciò impedisce a Dante di riconoscerlo subito.
Dante sottolinea che nessuna pena è così spiacevole, non tanto perchè dolorosa, ma perchè è infima, degradante, umiliante.
Ciacco dice di essere della stessa città di Dante, cioè Firenze, che qui viene rappresentata come un sacco pieno di invidia che trabocca, e sottolinea la differenza tra la situazione attuale e la vita serena, cioè la vita terrestre. La discrasia è nettissima tra ciò che era in vita e quello che deve subire adesso.
L’invidia è il primo dei peccati e dei vizi fiorentini citati. Dante attribuisce, a causa della ricchezza e della mercatura, inoltre i vizi di superbia e di avarizia a Firenze.
Ciacco parla con Dante riferendosi cittadino della città in cui egli stesso viveva, avendo riconosciuto la cittadinanza di Dante. Il nome Ciacco è collegato a diversi significati come Jacques, nome della Provenza.
1.quali saranno le azioni dei fiorentini;
2.se vi é fra loro ancora qualcuno di giusto e onesto;
3.perché Firenze é stata assalita dalla discordia.
verranno al sangue, e la parte selvaggia 65
caccerà l’altra con molta offensione.
Alla prima domanda di Dante Ciacco risponde affermando che dopo un lungo scontro in Piazza Santa Trinita a Firenze tra la famiglia dei Cerchi, (considerata “selvaggia” perché del contado e fazione di guelfi bianchi) e la famiglia dei Donati di fazione nera, i bianchi prevarranno sui neri riuscendo a cacciarli da Firenze.
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.
Ciacco profetizza che nel giro di tre anni (1300-1303) i neri prenderanno il potere con Corso Donati che diventerá priore a Firenze grazie all’aiuto di Papa Bonifacio VIII (colui che testé piaggia) che offrirà aiuto ai Neri e li agevolerà nel controllo della cittá. É da notare inoltre che questa narrazione é una narrazione post-factum in quanto Dante mentre scrive é già a conoscenza dei fatti poiché sono giá accaduti, dato che Dante compose l'Inferno tra il 1304-05 e il 1306-07.
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n’aonti.
Nonostante le lamentele e lo sdegno dei Bianchi, con questa metafora Dante afferma come i Neri continueranno a prevalere e ad avere il controllo a Firenze grazie all’aiuto del Papa.
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’hanno i cuori accesi». 75
Ciacco risponde alla seconda domanda di Dante affermando che ci sono ancora “due giusti” a Firenze, e tali potrebbero essere:
1. Le leggi umane (che i Neri non rispettano governando a loro piacimento).
2. La giustizia divina (non seguita dal Papa).
3. Dante e Cavalcanti (che non sono ascoltati).
Inoltre, con la metafora della scintilla che accende i cuori, Dante fa dire a Ciacco che i fiorentini si odiano per tre peccati, gli stessi rappresentati dalle tre fiere dei primi canti, rispondendo così alla terza e ultima domanda spiegando i motivi per cui Firenze é stata assalita dalla discordia, e tali sono:
1.La superbia, rappresentata dal leone.
2.L'invidia, rappresentata dalla lonza.
3.L'avarizia, rappresentata dalla lupa.
Ciacco finito di rispondere torna nel silenzio, ma Dante gli chiede un’ulteriore specifica.
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca 80
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,
Troviamo un elenco di nomi di politici fiorentini della generazione precedente rispetto a Dante (Farinata lo troviamo anche nel canto X). Farinata degli Uberti (in realtà Manente degli Uberti) fu capo ghibellino e Dante lo incontrerà nel VI cerchio, quello degli eretici. Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, podestà di San Giminiano e di Arezzo, è condannato nel cerchio VII dei sodomiti, assieme a Jacopo Rusticucci, mentre Mosca dei Lamberti, podestà di Reggio, si trova nella nona bolgia dell'VIII cerchio, quella dei seminatori di scandalo e scismi. Non si è tuttavia bene identificato quell'Arrigo che, stando agli antichi commentatori, potrebbe appartenere alla famiglia dei Fifanti. Questi politici furono qualcuno guelfo, qualcuno ghibellino ma tutti si comportano secondo virtù e coerenza, ciò a sottolineare l'alta concezione politica dantesca: non importa la fazione a cui si appartenga se si opera per il bene dei propri cittadini.
Dante chiede a Ciacco dove sono queste anime politiche, se in Paradiso o all’Inferno. Dante sembrerebbe mettere quindi in relazione la salvezza della persona con la sua azione politica (se si opera seguendo giustizia e virtù si è salvi).
Ciacco però gli risponde che tutte queste anime sono nell’Inferno anche se sono state politicamente ineccepibili e così Dante ci vuole comunicare con questi esempi che a salvare e a dannare è la colpa morale, cioè come ci si comporta in vita sotto un punto di vista morale. Nonostante fossero gran politici che volevano il bene di Firenze, peccano moralmente, e non essendosi pentiti, finirono all'Inferno.
Se le anime sono più nere, quindi la loro condota morale in vita non fu ineccepibile, il peccato è più grave e dunque i cerchi in cui si trovano sono più bassi.
Ciacco vuole essere ricordato a differenza delle altre anime anime che si vergognavano di essere ricordati a causa dei peccati compiuti. Infatti Ciacco stesso era faceto, ironico, irridente e vuole essere ricordato sulla terra quasi per scherzo.
Strabuzza gli occhi senza coscienza, guarda Dante in maniera ebete con lo sguardo vitreo e torna nell’infimo, fetido, squallido fango insieme agli altri golosi ciechi, quindi privi di Dio.
di qua dal suon de l’angelica tromba, 95
quando verrà la nimica podesta:
Virgilio dice a Dante che Ciacco si sveglierà solo quando suonerà la tromba degli angeli con il giudizio universale alla fine dei tempi.
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch’in etterno rimbomba".
Dopo il giudizio universale l’anima si riunirà con il corpo, ma non quello fisico, bensì quello glorioso. Tutte le anime quindi andranno dove si trova il loro sepolcro, riacquisteranno la loro corporeità, si recheranno presso la valle di Giosafat dove udiranno "quello che rimbomba in eterno ovvero", ovvero la loro sentenza. Infine le anime verranno rimandate nell’inferno a soffrire.
Dante e Virgilio camminano sulle anime bagnate dalla pioggia parlando della loro vita futura.
Dante pone la prima quaestio teologica della Commedia per inquadrare il suo oltremondo fantastico su delle basi teologiche, stabilendo così un nesso fra fantasia e realtà. Tale quaestio è se le pene saranno maggiori, minori o uguali dopo il giorno del giudizio.
Aristotele, che qui viene apostrofato con "tua scienza" per il fatto che era ben noto a Dante, parla nell’Etica di sinolo, cioè unione di anima e corpo, quindi i due elementi che compongono il corpo dell'uomo. Durante la dannazione, i dannati ricongiungendosi con il corpo glorioso raggiungono una maggiore perfezione e di conseguenza le anima beate saranno più beate e quelle dannate soffriranno di più.
I dannati hanno una maggiore perfezione ma comunque mantengono una perfezione minore rispetto a quelle beate perché non potranno mai vedere dio, facendo accrescere così in loro la pena del danno. Come disse San Tommaso d’Aquino: "La congiunzione del corpo all’anima aggiunge all’anima una certa perfezione, poiché ogni parte, presa per suo conto, è imperfetta, e si completa nella totalità."
Si muovono a tondo perchè il cerchio è a forma circolare, costeggiando così il perimetro, e inoltre "digradano", cioè scendono verso il basso verso luoghi sempre più stetti, essendo l'Inferno a forma di cono rovesciato che termina con Lucifero, dalle cui gambe, come si noterà nell'ultimo canto, Dante e Virgilio scenderanno attraverso la natural burella per giungere così sulla spiaggia del Purgatorio.
Inoltre parlano di altre cose di cui non fa riferimento, come quando disse:“ parlando cose che ’l tacere è bello” (If IV).
Indirizzo: Viale Thovez 37, 10131, Torino
A cura della 2°Classico A 2021/2022
Adelaide Badini Confalonieri Anna, Francesco Bertinetto, Cecilia Blunda, Andrea Cassarino, Sofia Cavalieri, Edoardo Ceruzzi, Riccardo De Biasi, Giorgio De Marchi, Sara Enrietti, Edoardo Falardi, Margherita Finello, Claudio Gallo, Lorenzo Lauro, Edoardo Maria Leccese, Camilla Perino, Giorgia Pignatelli, Matteo Sorano, Martina Vergnano.